Il fritto: un’ode inconsapevole al destrutturante di gerarchie par excellence
Da qualche tempo, vedendomi come molti di voi costretta in casa, mi interrogo su cosa ancora unisca le famiglie in maniera leggera e distensiva attorno ad un cibo piuttosto che un altro, e la risposta, almeno dalla mia testimonianza personale, si accosta sempre al piatto fritto.
Mentre le grandi tavolate, come del resto quelle piccole, trovano esistenza nello spettacolo pensato della concertazione, nell’apparecchiare dunque, nel creare una successione coerente tra piatti: antipasto, primo, secondo, contorno e via discorrendo, nel fritto c’è un elemento di rottura, in grado di liberarci dal giogo di ogni formalità, lasciandoci andare al bisogno primordiale per eccellenza: portare il cibo alla bocca per nutrirci.
Dicevo prima che la tavolata (di cui siamo privati da diverso tempo, sic!), è una trasposizione ragionata e ricca del nutrirsi. In una tavolata, come la storia ci insegna, si rappresentano gerarchie da rispettare, ruoli da onorare (capo famiglia a capo tavola, donna di fianco in ruolo mobile per una comoda gestione delle portate e del servizio), e vanno letteralmente in scena nella mise en place i servizi buoni, atti ad impressionare e onorare l’ospite, ad affermare presenza e posizione sociale, affermare il sé.
Del resto anche ai bambini si insengna come si sta a tavola, luogo dove praticare le buone maniere con grande attenzione poiché tutti si è in luce senza possibilità di scansarsi se non a pasto terminato.
Il piatto fritto è unico, abbondante, non soffre alcuna gerarchia, anzi, impone tempi e modi di somministrazione, perché considera chi mangia un consumatore, non un commensale. Il prodotto finale, il fritto, ha poi in comune coi fiori la caducità, va mangiato in fretta altrimenti la fragranza appassisce, quel tanto che basta per non scottarsi lingua e palato e via, un altro giro!
Chi frigge è, forse, l’unico detentore di uno scettro che lo erge al di sopra degli altri. Egli, come farebbe il dio Efesto o (se preferite miti d’altri luoghi) un druido, domina il bollore infernale e lavico dell’olio, cavando da quella furiosa agitazione un nutrimento senza tempo, che è simbolo di ristoro senza pregiudizio fin dai tempi in cui si friggeva il pesce da vendere nel porto d’Alessandria d’Egitto.
Il fritto si lascia mangiare in piedi, accanto al fuoco, sparpagliati con un bicchiere di vino, si toglie dall’olio e finisce in bocca, a getto continuo, e chiunque, bello o brutto, ricco o povero, ospite o padrone di casa, puzza allo stesso modo, da capo a piedi.
Anche noi si fa così, quando è la sera dei panzerotti, fritti rigorosamente al camino, si apre il vino, si stende la pasta, sifarcisce, frigge e mangia allo stesso momento, spronando tutti a fare in fretta che esce il panzerotto caldo e non può aspettare. Niente tavola né tovaglia immacolata, ci sediamo attorno al fuoco che cucina, come gli antichi in un thermopolium.
Ricetta per 25/30 panzerotti:
- 2 kg farina 00
- 50 gr lievito
- 1 litro di latte intero
- sale q. b.
- mozzarella q. b.
- pomodoro in salsa q. b.
Sciogliete il lievito in 200 ml di latte tiepido e dopo aver disposto la farina a fontana sulla spianatoia, aggiungetelo lentamente nel mezzo, lavorando rapidamente con le mani. Proseguite aggiungendo il restante latte poco alla volta, fino a formare un impasto liscio e omogeneo.
Ricavate dall’impasto delle palline con la circonferenza del palmo della vostra mano.
Mettetele ben distanziate a lievitare al caldo fino al raddoppio.
Quando saranno raddoppiate, preparate l’olio per friggere in una padella dai bordi alti, disponendo su una spianatoia della farina e un contenitore col pomodoro salato e con la mozzarella tagliata a piccoli cubetti.
Per essere certi che la temperatura dell’olio sia ottimale, preleviamo un pizzico d’impasto e lo buttiamo nell’olio, se schiuma la temperatura è giusta.
Appiattiamo le palline con mani e mattarello, tenedo un velo di farina sulla spianatoia per non attaccare l’impasto. Ricaviamo dei cerchi e mettiamo al centro poco pomodoro e mozzarella. Bagnamo con del latte la circonferenza dell’impasto e richiudiamo a mezzaluna col contorno a rientrare, così da assicurarci che il ripieno non fuoriesca, come vedete in foto.
Tuffate i panzerotti nell’olio e rigirateli dopo pochi secondi, saranno pronti quando diventeranno gonfi e dorati. Toglieteli con una schiumarola e metteteli a scolare su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso. Mangiateli ancora caldi e attenti al ripieno, scotta più dell’esterno!
Alla prossima ricetta, Liz.
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