Da cibo povero ad elemento gourmet, dovremmo tutti imparare a preparali (senza perdere la ricetta)
Abbiamo preparato in famiglia i taralli esattamente un anno fa, ma senza volerlo. Con la frutta e gli ortaggi, seguendo la stagionalità, è banale e piuttosto comune che possa accadere, ma coi taralli ci ha proprio stupito.
Lo so perchè avevo abbozzato delle foto che poi, non ricordo come mai, non hanno visto la luce. Ad ogni modo, il primo che butta in mezzo una voglia, la trasmette a tutto il cucuzzaro, e alla fine, avevamo tutti il desiderio di una non ben specificata, ma di certo abbondante, quantità di taralli fragranti.
Qui si manifesta già la doppia natura del tarallo: la porzione di famiglia che fa della chioma canuta un status symbol da diverso tempo, conserva l’antico uso del cibarsene in qualunque momento della giornata, perchè come nessun’altro mai, riesce a placare l’appetito. Dall’altro lato della barricata, chi come me riesce ancora a contare i capelli bianchi con le dita delle mani, usa il “tarallo sbriciolato” per dare croccantezza a primi sfiziosi, o mousse salate da aperitivo.
La vera rivelazione, nonostante sia interessante un focus storico sui taralli, e tal proposito vi consiglio di leggere questo articolo, è stata scoprire che la ricetta non c’era più! Eppure era gelosamente custodita nei quaderni intoccabili di casa, logori e dotati di qualche foglio volante che ha deciso di liberarsi della sua graffetta in metallo, sì, ma pur sempre custodita.
Niente. Non si trovava proprio. E qui è scoppiato il putiferio dell’invenzione. Chi la ricordava in un modo, chi in un altro, chi invocava versioni ottocentesche che una qualche zia ignorata da decenni, forse vivente, forse no, avrebbe potuto darci se solo avessimo avuto il coraggio di telefonarle.
Mentre montava un delirante quanto insicuro recupero della memoria, mi sono peritata di cercare un blog che potesse regalarci delle proporzioni e una metodologia rassicurante e soprattutto molto vicina al nostro ricordo di come un vero tarallo calabrese debba essere.
Visto che ormai nessuno si fidava più della versione di nessuno (un giorno ritroveremo la ricetta appuntata sul foglio fuggiasco, perchè carta canta!), e ci si guardava con sospetto e in cagnesco, mi sono rivolta alla versione di Elena Raimondo, del blog Cook and Love che tanto si avvicinava alla nostra, e finalmente ciascuno di noi ha avuto la propria razione di taralli calabresi.
Ingredienti:
- 425 gr di farina 0
- 425 gr di farina 00
- 350 ml di acqua
- 12 gr di lievito di birra fresco
- 100 ml di olio evo
- 18 gr di sale
- 3 cucchiai di semi di anice
Sciogliete il lievito in 300 ml di acqua a temperatura corporea (eventualmente aggiungete l’acqua restante se l’impasto risulta troppo duro).
Su una spianatoia sistemate a fontana la farina, aggiungete l’acqua col lievito poco alla volta assieme all’olio, lavorando il composto per far incorporare i liquidi. Aggiungete a metà lavorazione sale e anice.
Impastate delicatamente fino a formare una massa omogenea, morbida ma strutturata, e fatela riposare al caldo per 15/20 minuti.
Trascorso il tempo necessario, prelevate un piccolo quantitativo con le mani unte d’olio d’oliva e lavorate dei salsicciotti del diametro di un dito, ricavando degli anelli. Di solito si usa il polso per capirne la lunghezza, se girano come dei bracciali, sono perfetti. Dopo aver ricavato il primo con questo metodo, con gli altri si va tranquillamente ad occhio.
Sigillate gli estremi per evitare che si “sgancino” in cottura, e lasciate riposare i taralli ben coperti per altri 15/20 minuti.
Non devono gonfiarsi molto, devono solo farsi un po’ più cicciotti… quindi mentre aspettate, mettete sul fuoco un bel pentolone d’acqua.
Appena l’acqua bolle e trascorsi i minuti della seconda piccola lievitazione, arriva il momento importante della bollitura. Dovrete essere delicatissimi perchè i taralli non devono sformarsi nè le estremità staccarsi.
Immergetene pochi alla volta nel pentolone, quando saliranno a galla, tirateli su piano con una schiumarola, come vedete in foto, e metteteli altrettanto piano ad asciugare.
Terminata la bollitura di tutti i taralli, lasciateli riposare ancora 15/20 minuti mentre accendete il forno e attendete che si scaldi bene.
Infornate a 200 gradi per 20 minuti, oppure finchè non “arrussicanu”, ovvero arrossiscano, che è quella fase della cottura che va leggermente oltre la doratura ma non fa raggiungere ancora il colore bruno alla superficie del tarallo.
Consumate i taralli quando volete: col vino e salumi stagionati, da accompagnamento all’aperitivo, per placare il languorino o… a colazione nel caffellatte!
Alla prossima ricetta, Liz.
Nadia dice
Perfettamente perfetti… tanto belli da fare venire la voglia di farli all’istante.
Nei miei progetti futuri…
Complimenti per la bravura !!!!!
liz dice
Grazie! Prova a farli anche tu, non sono difficili.